Aneddoti, racconti  e un po' di storia di un tempo che non c'è più...
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Come appariva la casa contadina: c'era un lungo porticato sulla facciata a pian terreno, vi era poi un loggiato al primo piano, e all'interno del porticato, sulla destra, ecco la cucina, mentre sulla sinistra si poteva trovare la stalla. Sopra quest'ultima, c'era il fienile con un buco di ottanta centimetri circa che lo collegava alla stalla e serviva per fare scendere il fieno nella greppia.

All’interno dell'abitato c’erano due camere; vorrei ora soffermarmi a descrivere le funzioni del porticato negli anni trenta e quaranta, quando ogni giorno arrivavano i personaggi più strani e il nonno sovrintendeva a tutte le operazioni, dando a tutti saggi consigli.

  

1915 -2015 ricordando la grande guerra...

Un fantastico racconto, ricordo scritto da Remo Piccinotti  leggi

Questo è un capitolo estratto dai miei ricordi di bambino che una quindicina di anni fa decisi di scrivere in forma dialettale. La scelta fu obbligata dalla necessità di non perdere l’autenticità delle parole, lo stupore del vissuto che a sei, sette, otto anni si può avere osservando, ascoltando, assorbendo i fatti, i colori, le espressioni delle persone che saranno patrimonio indelebile dell’intera nostra esistenza. Così, con occhi spalancati e col cuore che pulsava forte io ho memorizzato i ricordi di guerra del nonno. Una guerra che ogni nonno vorrebbe rimuovere ma non può farlo fino a quando il proprio cuore ferito non trova la pace. Trasmetterla ai nipoti giustifica l’aver portato per tanti anni un simile peso.     continua la lettura 

 Il portico nella casa contadina

Testimonianza di Avelino Busi

San Gallo ora si presenta come un paese sparso lungo una strada pianeggiante, con le case tutte rifatte a nuovo

e i servizi igienici interni che non assomigliano più a quelle vecchie case contadine costruite verso la seconda metà del settecento.


Ogni giorno c’era un accattone che cercava la carità; quello del lunedì si riconosceva dal puzzo che emanava, quello del mercoledì da come era vestito: giacca a brandelli e pantaloni con pezze di vari colori, aveva inoltre una bisaccia unta e bisunta (chissà cosa conteneva..). Poi arrivava quello del venerdì, con un paio di zoccoli che facevano rumore e una strana cadenza (forse per far sentire che stava arrivando). La mia nonna paterna aveva sempre in serbo qualche cosa da dare loro: un uovo,un paio di mele o qualche centesimo; insieme, nell'arrivare sotto il portico, recitavano sempre qualche preghiera. Periodicamente arrivavano i frati cercatori, i quali avevano una bisaccia doppia sulla spalla del colore del saio che indossavano; anche a loro mia nonna dava sempre qualche cosa, ma sopratutto regalava un po' di noci; forse per aver sentito raccontare dal nonno il famoso capitolo tratto dai promessi sposi del miracolo delle noci. Gli altri personaggi che hanno esercitato su di me un fascino particolare solo coloro i quali facevano i mestieri più svariati: Il signor Agostino (chissà perché lo chiamavano così) faceva lo straccivendolo, era vestito in un modo strano, aveva le fasce militari alle gambe come i fanti della prima guerra mondiale, pantaloni unti e bisunti e una giubba militare tutta sbrindellata, mangiava tutto quello che per noi non era commestibile: latte andato a male, mele marce, uccellini con le penne, lardo avariato e altre porcherie, tant’è vero che una volta gli venne una dissenteria talmente forte che non fece in tempo a calarsi i pantaloni, e fu costretto a levarseli e portarli nel ruscello per lavarli, rimanendo in mutande in un fienile fino ad attendere che si asciugassero. C'era poi il signor Battista, un calzolaio ambulante che si portava sulle spalle il suo deschetto e andava di portico in portico ad aggiustar scarpe e ciabatte. Ogni tanto sospendeva il suo lavoro e si alzava in piedi cominciando a grattarsi un po’ dappertutto, canticchiando un motivo accompagnato con "pum, pum, pum". Si accontentava di pochi centesimi, oppure, chiedeva come compenso un piatto di minestra o un pezzo di pane con mezza cipolla. Arrivavano, invece, dal Veneto quelli che impagliavano le sedie, "scagnì" in dialetto bresciano. Questi sì che lavoravano seriamente. Dormivano sui fienili delle cascine e vi restavano fino a quando avevano impagliato tutte le sedie della casa, compreso il mio seggiolone e lo sgabellino della nonna che si trovava in fondo al portico. Dal Friuli arrivavano pure le venditrici di mestoli, scodelle e cucchiai di legno, le chiamavano le palere; erano donne dalle spalle larghe e robuste, portavano delle gerle di legno con cinque o sei cassettini contenenti bottoni, elastici, aghi, nastri, pizzi e altre cianfrusaglie. Io personalmente "facevo la mira" allo zufolo di legno però non me lo comprava mai nessuno, anche loro si fermavano a dormire sui fienili o nelle stalle quando faceva freddo. Ogni quindici giorni, da Nave, arrivava un venditore ambulante di tabacco, lo chiamavano Bòlèt. Naturalmente il nonno ne approfittava per fare la scorta per la sua pipa, quando la fumava puzzava di fichi d’asino e, quando aveva finito, grattava la pipa con un chiodo per pulirla, vuotava quello che rimaneva nel palmo della mano e poi lo metteva in bocca e lo masticava dicendo: «così uccido tutti i microbi!». Tre o quattro volte l’anno arrivava anche il Magnano, "parolòt" con pignatte, padelle e mantice sulle spalle; si piazzava in fondo al cortile, accendeva un fuocherello e col mantice lo ravvivava, faceva colare lo stagno in un barattolo di latta e lo versava nella pentola facendola diventare lucida. Io lo aiutavo a girare la manovella del mantice e alla fine del lavoro mi dava una mancia di dieci centesimi, che mostravo con orgoglio a mia nonna che diceva: «chi lavora mangia, chi non lavora non mangia!». Anche le materassaie, "sgarzine", facevano la loro comparsa una volta l’anno; si piazzavano sotto il portico con un trespolo che aveva un’asse oscillante piena di chiodi, svuotavano i materassi dalla lana e la facevano diventare morbida grattandola per un’ora circa. Finito questo lavoro, la rimettevano nel materasso che veniva cucito a mano con un apposito ago. Infine arrivava una coppia di arrotini\ ombrellai, marito e moglie, pure loro Veneti, si piazzavano nel cortile, lui ad affilare roncole, forbici accette e coltelli, con una mola costruita artigianalmente che veniva azionata con un pedale di legno; lei aggiustava ombrelli, raddrizzava le bacchette, cuciva gli strappi o rammendava i buchi con tasselli di stoffa di vario colore. Non era una coppia molto affiatata, perché i litigi erano frequenti, tanto che l’arrotino spesso doveva cedere sotto i colpi di ombrello vibrati sulla schiena dalla sua amata consorte. Queste scenette duravano dieci minuti circa e poi i due riprendevano il lavoro come se nulla fosse accaduto! Quando arrivavano gli spazzacamini andavo a nascondermi, perché avevo paura. Mi avevano descritto il diavolo nero con gli occhi rossi e al solo vederli mi spaventavo; poverini, erano talmente in miseria che portavano via anche la fuliggine per venderla come concime per i giardini. Prima della vendemmia comparivano i cestai, che, con i vimini, rifacevano la protezione alle damigiane che dovevano contenere il vino nuovo. Questo lavoro lo seguiva direttamente il nonno per assicurarsi che le protezioni durassero almeno tre anni nell'umidità della cantina. Caro vecchio portico rifugio di color che han cercato sotto di te ristoro e ospitalità sei sparito, il progresso ti ha cancellato. La scena è vuota tutti sono usciti il nonno, la nonna, lo straccivendolo, i barboni e gli arrotini più nessuno è rimasto ma….ecco dove vi siete nascosti ora vi vedo! Siete lì, dietro le quinte dei miei ricordi!!!!!